mercoledì 14 novembre 2012

Dalla strada alla scuola delle cose rotte...






Alla scuola delle cose rotte ho imparato che la strada, se credi in Dio, può fare meno male. Un ragazzo mi ha confidato di non avere mai pensato, mentre era sui marciapiedi della città, di rimanere lì per sempre. Mi ha detto di essere stato certo che qualcosa sarebbe successo. 

E così è stato. Un giorno ha incontrato un altro ragazzino, di strada anche lui, ma che la notte rientrava a dormire in una casa di accoglienza. I due si sono confidati, hanno trascorso qualche giorno insieme a zonzo per la città, facendo l'elemosina o qualche lavoretto di fortuna, come pulire il cortile di qualcuno o gettare l'immondizia o andare a comprare il pane per una vecchietta, poi sono andati insieme alla Chiesa grande, quella di San Paolo. Lì a quel bambino benedetto dalla forza delle fede, un uomo buono ha indicato la strada per Casa Magone-Margarida. Da allora non se ne è più andato. Ora questo ragazzo studia e si prepara un futuro. 




Un altro ragazzino, in vena di raccontare, cosa rara fra i meninos de rua, se la cavava con una enorme furbizia, un'intelligenza che lo contraddistingue qualsiasi cosa faccia. Invece che dormire per strada lui se ne andava in spiaggia, vicino alla capanna di salvataggio. Al mattino poi, prendeva il suo pentolino, accendeva un piccolo fuoco e si cuoceva la sua patata nell'acqua di mare, "così veniva salata", racconta con il fare di chi la sa lunga.

Un altro l'ho ribattezzato D., che è il suo nome, Al Quaeda, che è il soprannome che gli ho dato io, dois, che sta per 2, perché di D. nella casa ce ne sono due. D. è così arrabbiato, ma così arrabbiato con la sua famiglia che mi ha confessato di voler diventare ingegnere chimico, "per costruire una bomba talmente potente da far saltare tutta l'Angola", mi ha detto. Da allora è D. Al Quaeda. 

A. invece ha un piccolo difetto, se così può chiamarsi, balbetta leggermente. Quel poco di incertezza nel parlare deve però essere sembrato troppo alla sua famiglia che ha scelto di cacciarlo tacciandolo come stregone, come porta sfortuna. A. ha le ciglia così lunghe che quando le sbatte assomiglia a un cerbiatto, è bello da lasciare senza fiato, ma sua madre non l'ha voluto. 

Il piccolino del gruppo, quello con il braccino deformato da una enorme cicatrice per cui lo tiene sempre nascosto, ha un nonno, che la sua mamma è morta mentre lo partoriva e il padre non era in grado di prendersi cura di lui. Non a caso lo affermo dal momento che, come mi ha raccontato il nonno, il giorno che il bimbo si è tagliato il polso per sbaglio con un barattolo di pelati, il padre non l'ha portato all'ospedale, né lo ha curato in casa, ha semplicemente lasciato che l'infezione gli rodesse l'arto intero prima di decidersi a fare qualcosa. Ma era troppo tardi e il bambino, "che piangeva sempre", mi dice l'anziano, aveva ormai deciso di fuggire, scegliendo la strada a un padre disgraziato.

Sono solo piccole storie dalla "Scuola delle cose rotte che riprendono vita!"

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