mercoledì 20 febbraio 2013

Il violino di Leo



Leo ha la faccetta simpatica. Il sorriso largo, le sopracciglia ben definite, è tenero e furbo allo stesso tempo.

Lui era di quelli della Magone, che qui indica i meninos che nella casa di accoglienza ci vanno solo la sera a dormire per poi tornare al mattino sulla strada.  

Essere della Magone è come dire che sei uno "tosto", uno che non ha ancora mollato la strada, che dalla strada porta cose, da vendere in casa ai compagni della Margarida, quelli che invece al mattino restano in casa e seguono gli educatori nelle loro attività. 

Fuori si corre, si ruba, ci si droga e si spaccia, ma il fatto di tornare la sera è l'inizio del cammino.

Poi accade che quelli della Magone entrino nella Margarida, perché hanno capito che il giochetto di uscire e rientrare non li porta da nessuna parte.

Così anche Leo, che entrava e usciva e sembrava contento, un giorno uscendo ha visto che gli altri ragazzi andavano in classe ad ascoltare una volontaria suonare il violino

Per un istante è rimasto lì, dietro la porta, ad ascoltare. Questa cosa l'ha sconvolto, è scattato un clic nella sua testa. Forse Leo ha capito cosa si stava perdendo scegliendo la strada e ha chiesto ad Adjaime, il direttore della casa, di restare.

Ora Leo fa parte dei ragazzi che vogliono farcela. Oggi, mentre eravamo seduti in terra e mi teneva le mani strette perché gli avevo appena dato una caramella, Leo ha cominciato a raccontarmi la sua storia. 

Famiglia disastrata, padre che lo picchiava, la fuga in strada per salvarsi. Poi sulla Primero de Maio, la casa di questi bambini perduti, "chupava gasolina" e "fumava "djamba". 

L'ha fatto per quattro mesi. "Passa la fame, ti senti molle e stordito, poi quando cammini ti manca il respiro, senti i polmoni affaticati" racconta, fino al giorno in cui le note di un violino lo hanno portato fin qua!

martedì 19 febbraio 2013

La calma che conduce a Kala Kala

Il condongueiro che ha condotto i ragazzi da Luanda a Kala  Kala

Sono tornata alla scuola delle cose rotte e ho trovato che per 14 ragazzi che la frequentavano da qualche anno era tempo di partire.

Saliti sul condongueiro, sono andati a Kala Kala, 50 chilometri da Luanda, la loro nuova casa, dove studiare, giocare a pallone e imparare un mestiere.

I frequentatori di questa scuola, i meninos de rua, ragazzi spesso senza famiglia e sempre senza una casa, partono con una piccola mochilla, uno zainetto.  Dentro c'è tutto quello di cui un essere umano può avere bisogno per condurre un'esistenza dignitosa e nient'altro: tre camicie, un pantalone, un calzoncino, un completo da calcio, uno spazzolino da denti, una pasta dentifricia, una saponetta, dieci quaderni, un astuccio e la Bibbia.

Come sempre a questa scuola, che frequento senza pagare la retta, imparo più che all'Università di Roma dove la retta la pagavo, eccome! 

Nella mia di mochilla quando viaggio, infilo cose insulse che sempre mi sembrano essenziali e poi scopro, al rientro, di non averle usate.

Andati loro, restano nella Casa Magone-Margarida di Sambizanga, solo pochi meninos che appaiono smarriti. La mancanza dei compagni si legge sui volti ma parlarne è proibito. Qui il dolore, la paura, il dispiacere, la tristezza, non sono cose che si raccontano, vanno intuite, è una regola non scritta. 

Alcuni dei ragazzi partiti per Kala Kala
Così leggo sul volto di Alexi che gli mancano i compagni e su quello di Cristiano che occorre pazientare, il prossimo anno toccherà a lui.

Finchè incontro il volto di Garcia e fa paura. Ha un occhio nero e gonfio, una tempia sanguinante, un grosso cerotto sulla spalla. Gli chiedo cosa sia successo e con quella voce roca che solo i bambini di strada di qui riescono ad avere (insieme ai nostri fumatori di ottant'anni), mi racconta che è caduto dalle scale. 

Come fanno le bugie delle vittime ad essere uguali a Luanda, Londra, Roma e New York? Ecco qualcosa che accomuna chi è picchiato da un proprio caro o da un conoscente! 

La versione dell'espancamento, prende forme e colori diversi nel corso della giornata, fino a quando qualcuno mi dice che devo pazientare, che la verità verrà a galla. 

Qui si impara anche quella pazienza che in Africa è fondamentale per vivere, senza la quale non si va avanti e non si capisce nulla. Quella pazienza che è diventata un mantra nella mia testa "fica calma, Francesca" , spesso mi ripete la gente di qua.  Allora me lo dico anch'io, mentre scruto il volto di Garcia, entrato ora a Casa Magone, al posto di qualcuno andato a Kala Kala, "fica calma" che fra qualche giorno uscirà la verità e Garcia inizierà il suo cammino. 

 Alla scuola delle cose rotte con il tempo, con la preghiera e con l'intuito si arriva fino al verde di Kala Kala, dove con la calma, si impara a dare al proprio futuro una forma.