Leo ha la faccetta simpatica. Il sorriso largo, le sopracciglia ben definite, è tenero e furbo allo stesso tempo.
Lui era di quelli della Magone, che qui indica i meninos che nella casa di accoglienza ci vanno solo la sera a dormire per poi tornare al mattino sulla strada.
Essere della Magone è come dire che sei uno "tosto", uno che non ha ancora mollato la strada, che dalla strada porta cose, da vendere in casa ai compagni della Margarida, quelli che invece al mattino restano in casa e seguono gli educatori nelle loro attività.
Fuori si corre, si ruba, ci si droga e si spaccia, ma il fatto di tornare la sera è l'inizio del cammino.
Poi accade che quelli della Magone entrino nella Margarida, perché hanno capito che il giochetto di uscire e rientrare non li porta da nessuna parte.
Così anche Leo, che entrava e usciva e sembrava contento, un giorno uscendo ha visto che gli altri ragazzi andavano in classe ad ascoltare una volontaria suonare il violino.
Per un istante è rimasto lì, dietro la porta, ad ascoltare. Questa cosa l'ha sconvolto, è scattato un clic nella sua testa. Forse Leo ha capito cosa si stava perdendo scegliendo la strada e ha chiesto ad Adjaime, il direttore della casa, di restare.
Ora Leo fa parte dei ragazzi che vogliono farcela. Oggi, mentre eravamo seduti in terra e mi teneva le mani strette perché gli avevo appena dato una caramella, Leo ha cominciato a raccontarmi la sua storia.
Famiglia disastrata, padre che lo picchiava, la fuga in strada per salvarsi. Poi sulla Primero de Maio, la casa di questi bambini perduti, "chupava gasolina" e "fumava "djamba".
L'ha fatto per quattro mesi. "Passa la fame, ti senti molle e stordito, poi quando cammini ti manca il respiro, senti i polmoni affaticati" racconta, fino al giorno in cui le note di un violino lo hanno portato fin qua!
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